
Agata Grassigli, i bambini e il teatro
Abbiamo incontrato Agata Grassigli, giovane insegnante di teatro che, con passione, competenza e tanta energia, ha saputo conquistare bambini e ragazzi, portandoli a scoprire la magia del palcoscenico.
Insegna inglese a scuola e recitazione per ragazzi in teatro ed è la fondatrice di Associazione Raptus, dove conduce laboratori rivolti ai più piccoli (dai 6 ai 10 anni) e agli adolescenti delle scuole medie.
Con lei parleremo di educazione, creatività, emozioni, e del ruolo che l’arte teatrale può avere nel formare le persone e costruire il futuro.
Agata, quando hai cominciato questa tua avventura nel mondo del Teatro?
Ho cominciato a recitare a 9 anni e non ho più smesso e, con i corsi di Teatro Ragazzi della nostra Associazione, cerco di trasmettere l’incanto di questa arte, che io ho sentito per tutti questi anni.
Come riesci a catturare l’attenzione e l’entusiasmo dei piccoli per il teatro?
Quella è la parte facile.
Il teatro lo fa da solo, loro la sentono subito la magia.
Quali sono le strategie più efficaci che usi per farli sentire protagonisti e parte attiva?
Il mio alleato principale è il teatro stesso e la possibilità di fare lezione sul palcoscenico. L’immaginazione dei bimbi, ma anche dei ragazzi, ha bisogno di essere aiutata.
Visualizziamo il giorno del saggio, osserviamo la platea e ci vediamo tutto il nostro pubblico che ci guarderà e, con un po’ di emozione, ci mettiamo a lavorare.
Hai notato delle differenze tra i bambini più piccoli e gli adolescenti nel modo in cui si avvicinano al teatro?
In parte, sì.
I bimbi sono concentratissimi, andare in scena è una grande prova per loro.
Vivono le prove come se fossero una danza, dentro la quinta, fuori sul palco, do la mia battuta, aspetto il mio compagno.
Imparano i toni delle battute come se fossero canti; fanno teatro in modo coreografico.
I grandi, invece, si innamorano dei personaggi, vogliono conoscerli, li studiano, li immaginano in situazioni fuori copione.
Entrano in un villaggio di fantasmi e sognano.
Hai qualche aneddoto o episodio che racconta la trasformazione di un bambino o ragazzo grazie al palcoscenico?
Certo! La bimba di 2° Elementare che mi dichiarò di “non essere una bimba brava a leggere e a parlare” e l’anno dopo interpretò la strega con un monologo di mezza pagina; la ragazzina con la voce tremante e il volto coperto dai capelli che si immerse poi completamente nel personaggio comico di un uomo adulto, burbero e con la voce tonante e fece sbellicare tutto il pubblico.
O la bimba di sei anni che salì sul palco al saggio e, alla vista delle luci e del pubblico, iniziò a piangere e pianse per tutto lo spettacolo. Subentrai io a dare le sue battute, con lei arrotolata alle mie gambe, terrorizzata. Alla fine scese e mi disse: “Maestra, lo voglio rifare la prossima volta”.
Credevo non sarebbe più tornata, e invece dopo l’estate eccola lì, pronta per “rifarlo”.
Facemmo un nuovo spettacolo e si esibì con un sorriso luminoso e la voce squillante: aveva superato la sua prova.
Hanno tutti, a modo loro, trovato in questo gioco la forza per mostrarsi al mondo.
In un’epoca in cui i giovani e giovanissimi sono sempre più immersi nel digitale, quale spazio può avere il teatro nella loro vita?
Pensi possa essere una forma di “resistenza” all’immediatezza e alla velocità del mondo online?
Forse sono due dimensioni che non si incontrano mai.
A teatro, i ragazzi portano i cellulari ma io personalmente non li vedo affatto, rimangono dimenticati nelle tasche delle giacche.
C’è troppo di vivo e urgente a cui pensare, e “siamo in un castello, e dov’è la regina?”, e “oddio non so la battuta”, e “maestra ma va bene se mi metto qui?”, e “posso mettermi una corona?”, e “aspetta ridammi la battuta che la voglio rifare”…
Entrano in un gioco di ruolo che vuole tutto da loro, prontezza e attenzione.
E stanno al gioco.
Secondo te, che cosa offre la recitazione rispetto ad un’altra forma di intrattenimento digitale?
Un tipo molto più invadente, e più vero, di relazioni umane.
Andare in scena davanti a tutti ti mostra per quello che sei e ti obbliga a esporti, tentare, sbagliare.
Non puoi scrivere e cancellare, ripensare, modificare, mettere i filtri.
Sei tu, e basta. E se sbagli, sai che l’unico modo per cavarsela è trovare il coraggio e andare avanti lo stesso.
Quali competenze emotive, sociali o cognitive vedi svilupparsi di più?
Sicuramente, l’apertura verso l’altro.
Il gruppo di teatro è un gruppo oltrespazio e oltretempo, dove, ogni settimana, una ragazzina di 12 anni entra con la coda di cavallo e la cartellina di educazione tecnica, e diventa una guardia danese del 1300.
Non ha senso e non vuole avere senso.
Il teatro li sgancia completamente dalla loro realtà di tutti i giorni e li fa entrare in una radura incantata dove tutte le regole sono diverse.
Questo li apre e li obbliga a sospendere il giudizio verso l’altro.
Pensi che il teatro possa contribuire anche alla formazione di cittadini più consapevoli e empatici?
Credo proprio di sì.
Il teatro ti obbliga a capire quello che stai leggendo e a impostare le tue reazioni di conseguenza.
Devi decifrare quello che una persona, che viene da un altro mondo, vuole dire attraverso un testo scritto.
Questo non è per niente facile ed è un’abilità fondamentale anche per noi adulti.
C’è qualcosa che vorresti dire ai genitori sul valore del teatro per le nuove generazioni?
Fateli giocare.
Anche se non interpretano sempre la parte del protagonista, anche se l’amico ha più battute, anche se imparare la parte a memoria costa un po’ di fatica e anche se a volte esibirsi fa venire il batticuore.
Fateli giocare.