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La connessione emotiva con il soggetto: Maurizio Benedettini

Maurizio Benedettini è un fotografo di riconosciuta professionalità, sono tanti i premi vinti e i riconoscimenti ottenuti attraverso le immagini prodotte in giro (anzi in più giri) per il mondo.
Da questa stagione teatrale è anche il nostro fotografo di scena.
Lo abbiamo incontrato e intervistato.
Buona lettura.

Ciao Maurizio e benvenuto.
Che rapporto hai con l’Arte in generale?
Un rapporto complesso, articolato.
Difficile rispondere in sintesi, ma ci provo.
L’arte mi fa venire in mente la filosofia cinese e il concetto di Yin (nero) e Yang (bianco).
L’arte è la parte buona dell’essere umano.
La scultura è forse la forma d’arte che più mi emoziona e mi lascia a bocca aperta.

Il Teatro è un’arte antichissima.
Cosa vuoi fotografare quando sei davanti a un palcoscenico?

Non considero la fotografia una forma d’arte, ma un modo di comunicare, una sorta di linguaggio universale.
Per rispondere alla domanda cerco di interpretare e congelare in un istante ciò che il soggetto esterna, in modo che chi guarda la fotografia sia in qualche modo trasportato nel suo mondo incuriosito dal messaggio.

Quali sono le sensazioni più forti che hai provato attraverso il tuo obiettivo?
La connessione emotiva con il soggetto, quando capisco di essere stato accettato.

E quali le sensazioni che hai ricevuto mettendo nel tuo obiettivo il TaG?
Dipende molto dall’empatia che nasce o che si riesce a stabilire. Sembra paradossale ma anche a molti artisti non piace avere un obiettivo puntato addosso.
L’invasione dello spazio vitale è la chiave.
Da questo dipendono le sensazioni che ricevi.

Il Teatro e la fotografia sono entrambi accomunati dalla creatività.
Trovi ci siano altri punti di contatto condivisi?

Il primo che mi viene in mente è mettersi a nudo, aprirsi, raccontarsi, abbassare le proprie barriere.
Nel teatro succede soprattutto agli interpreti che sono anche autori del lavoro che portano in scena.

Oggi siamo tutti “ipotetici fotografi”, avendo come strumenti smartphone le cui potenzialità sono enormi e di ottimi risultati.
Qual è il tuo rapporto con queste tecnologie?

Le tecnologie cambiano, a volte ci pare troppo rapidamente, dandoci all’inizio una spiacevole sensazione di inadeguatezza.
Poi dipende da noi, non mi pare una buona strategia rifiutare il nuovo che avanza.
I social media hanno cambiato la nostra vita e il modo di guardare le fotografie.
Quello che rimane, la cosa più importante, è l’idea e il messaggio che deve essere evidente al primo sguardo, perché difficilmente ci verrà concessa una seconda opportunità.
Questo indipendentemente dal mezzo che utilizziamo per fare una fotografia.
Pare strano, ma istintivamente spesso l’approccio di molti soggetti è più genuino e rilassato se ripresi con uno smartphone.

Robert Mapplethorpe diceva che “nella fotografia cerco cose che non ho mai visto prima”. Tu cosa cerchi?
Prima di tutto sono d’accordo con quello che diceva Mapplethorpe.
Oltre a questo cerco la connessione, la comunicazione, una storia interessante da raccontare senza “rubare” l’anima, ma donando la mia.

La Cultura è un elemento importantissimo nella vita di ciascuno di noi.
Se domani diventassi Ministro della Cultura, quali sono le prime cose che metteresti in programma?
La salvaguardia e la conservazione di tutto il patrimonio culturale è la mission principale del dicastero, ma è una mentalità con cui si deve crescere, per cui si deve essere educati.
Vorrei quindi una più stretta sinergia con il Ministero dell’Istruzione per arricchire in questo senso l’offerta della scuola.
Metterei in programma la creazione di uno spazio strutturato dedicato alla fotografia, fatta perché no con il cellulare, strumento con cui tutti i giovani hanno grande dimestichezza.
Proporrei temi da svolgere e concorsi con cui misurarsi e confrontarsi, stimolando la curiosità e la fame degli adolescenti. Insomma non solo selfie e piatti gourmet, ma racconto e memoria.
Qualche anno fa sono stato invitato a fare da giudice in un concorso fotografico bandito per gli studenti di quarta e di quinta di una scuola superiore e i risultati mi hanno sorpreso ed emozionato molto.
Ricordo ancora la foto vincitrice del tema “La solitudine” fatta da una ragazza alla nonna seduta in cucina. Da brividi…
Insegnare e fare i genitori sono i “mestieri” più belli e difficili che ci siano, sono ricchi e vitali, ci costringono a metterci continuamente in discussione.
Solo in questo modo possiamo evolvere e cambiare in meglio.

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